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G8, i giudici: «Quello che accadde alla scuola Diaz fu disumano»
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G8, i giudici: «Quello che accadde alla scuola Diaz fu disumano»
GENOVA (10 febbraio) - Disumano. Così viene descritto dai giudici quanto accadde all'interno della scuola Diaz di Genova durante il G8 del 2001. «Quanto accadde all'interno della scuola Diaz Pertini fu al di fuori di ogni principio di umanità, oltre che di ogni regola ed ogni previsione normativa, anche se fu disposta in presenza deipresupposti di legge», si legge nella motivazione della sentenza emessa il 13 novembre scorso al processo per i fatti avvenuti alla Diaz.
La sentenza ha disposto 16 assoluzioni (tra cui tutti i vertici della polizia, e in particolare Giovanni Luperi ex vicedirettore Ucigos e Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco) e 13 condanne, per un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione.
L'esplodere della violenza all'interno della scuola non può «trovare giustificazione se non nella consapevolezza di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell'impunità», si afferma ancora nelle motivazioni della sentenza depositate stamani. «Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni - si prosegue nel documento - è invece certo che la loro propagazione così diffusa e pressoché contemporanea presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati».
«Un atteggiamento di distacco» da parte della polizia «nell'individuare gli autori delle violenze alla Diaz e nell'accertare le singole responsabilità, ha contribuito - sempre secondo i giudici - ad avvalorare la sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza che seppure infondata o comunque rimasta del tutto sfornita di prove ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento sotto il profilo probatorio».
I giudici osservano inoltre come «non sia del tutto incredibile che l'inconsulta esplosione di violenza all'interno della Diaz abbia avuto un'origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione tanto da provocare, anche per il forte rancore sino ad allora represso il libero sfogo all'istinto determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale, nonché dell'addestramento ricevuto».
«Quanto avvenuto in tutti i piani dell'edificio scolastico con numerosi feriti di cui diversi anche gravi tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione a "una macelleria messicana" - si legge ancora nel documento - appare di notevole gravità sia sotto il profilo umano che legale. In uno stato di diritto non è accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell'ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tali entità, anche se in situazioni di particolare stress».
Le violenze alla Diaz durante non furono frutto di «un complotto in danno degli occupanti» della scuola, né ebbero carattere «di spedizione punitiva» o di «rappresaglia», continuano poi i giudici. «A parte la carenza di prove concrete - scrivono i giudici - appare assai difficile che un simile progetto possa essere stato organizzato e portato a compimento con l'accordo di un numero così rilevante di dirigenti, funzionari e operatori della polizia». Piuttosto si ritiene «che i dirigenti fossero convinti che l'operazione avrebbe avuto un rilevante successo e si sarebbe conclusa con l'arresto dei responsabili delle violenze e delle devastazioni dei giorni precedenti», anche perché «ben difficilmente La Barbera, Luperi e Gratteri avrebbero avvisato i giornalisti di quanto si stava compiendo».
Non ci sono prove certe «ma semplici indizi non univoci» circa la consapevolezza da parte dei vertici della polizia «della falsità del ritrovamento delle bottiglie molotov all'interno della scuola», si legge ancora nelle motivazioni della sentenza. «Se è vero che gli elementi indicati dall'accusa possano da un lato determinare il sospetto circa la consapevolezza da parte dei citati imputati della falsità del ritrovamento delle bottiglie molotov all'interno della scuola - si legge nel documento - è anche vero dall'altro che non possono valere a provarla con la dovuta certezza trattandosi di semplici indizi non univoci».
I giudici osservano infine la «confusione e l'agitazione di quei momenti» e come non si «possa certamente escludere che i ricordi di singoli avenimenti e dei particolari possano essere imprecisi, confusi e lacunosi».
La sentenza ha disposto 16 assoluzioni (tra cui tutti i vertici della polizia, e in particolare Giovanni Luperi ex vicedirettore Ucigos e Francesco Gratteri, ex direttore dello Sco) e 13 condanne, per un totale di 35 anni e 7 mesi di reclusione.
L'esplodere della violenza all'interno della scuola non può «trovare giustificazione se non nella consapevolezza di poter agire senza alcuna conseguenza e quindi nella certezza dell'impunità», si afferma ancora nelle motivazioni della sentenza depositate stamani. «Se dunque non può escludersi che le violenze abbiano avuto un inizio spontaneo da parte di alcuni - si prosegue nel documento - è invece certo che la loro propagazione così diffusa e pressoché contemporanea presupponga la consapevolezza da parte degli operatori di agire in accordo con i loro superiori che comunque non li avrebbero denunciati».
«Un atteggiamento di distacco» da parte della polizia «nell'individuare gli autori delle violenze alla Diaz e nell'accertare le singole responsabilità, ha contribuito - sempre secondo i giudici - ad avvalorare la sensazione di una certa volontà di nascondere fatti e responsabilità di maggiore importanza che seppure infondata o comunque rimasta del tutto sfornita di prove ha caratterizzato negativamente tutto il procedimento sotto il profilo probatorio».
I giudici osservano inoltre come «non sia del tutto incredibile che l'inconsulta esplosione di violenza all'interno della Diaz abbia avuto un'origine spontanea e si sia quindi propagata per un effetto attrattivo e per suggestione tanto da provocare, anche per il forte rancore sino ad allora represso il libero sfogo all'istinto determinando il superamento di ogni blocco psichico e morale, nonché dell'addestramento ricevuto».
«Quanto avvenuto in tutti i piani dell'edificio scolastico con numerosi feriti di cui diversi anche gravi tale da indurre lo stesso imputato Fournier a paragonare la situazione a "una macelleria messicana" - si legge ancora nel documento - appare di notevole gravità sia sotto il profilo umano che legale. In uno stato di diritto non è accettabile che proprio coloro che dovrebbero essere i tutori dell'ordine e della legalità pongano in essere azioni lesive di tali entità, anche se in situazioni di particolare stress».
Le violenze alla Diaz durante non furono frutto di «un complotto in danno degli occupanti» della scuola, né ebbero carattere «di spedizione punitiva» o di «rappresaglia», continuano poi i giudici. «A parte la carenza di prove concrete - scrivono i giudici - appare assai difficile che un simile progetto possa essere stato organizzato e portato a compimento con l'accordo di un numero così rilevante di dirigenti, funzionari e operatori della polizia». Piuttosto si ritiene «che i dirigenti fossero convinti che l'operazione avrebbe avuto un rilevante successo e si sarebbe conclusa con l'arresto dei responsabili delle violenze e delle devastazioni dei giorni precedenti», anche perché «ben difficilmente La Barbera, Luperi e Gratteri avrebbero avvisato i giornalisti di quanto si stava compiendo».
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